Archivio mensile:Giugno 2020

28 Giugno 2020 – XIII Domenica T.O.

Omelia di don Mario Testa – XII Domenica del T. O.  – 21 giugno 2020 – S. Messa ore 09.00   >>>

Vangelo

Mt 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«37 Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me;
38 chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».


Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me. Una pretesa che sembra disumana, a cozzare con la bellezza e la forza degli affetti, che sono la prima felicità di questa vita, la cosa più vicina all’assoluto, quaggiù tra noi. Gesù non illude mai, vuole risposte meditate, mature e libere. Non insegna né il disamore, né una nuova gerarchia di emozioni. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un “di più”, non limitazione ma potenziamento. Ci nutre di sconfinamenti. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. …

Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Chi dona con il cuore rende ricca la sua vita >>>  


Nel discorso apostolico, parlando delle opposizioni e persecuzioni a cui i suoi inviati andranno incontro, Gesù ha appena rivelato che la sua persona e il suo ministero, chiedendo agli uomini una decisione e una scelta, di fatto operano anche una divisione, suscitano conflitti e separazioni. Anche all’interno dello spazio famigliare si verificano lacerazioni e si creano inimicizie (Mt 10,34-36). La sua predicazione itinerante ha portato persone a lasciare la famiglia, a mettere in crisi quel legame che era così fondante e basilare nella società dell’epoca e che comportava dimensioni sociali ed economiche non indifferenti. Ecco dunque che, da questa constatazione, Gesù passa a sottolineare la condizione del discepolo e le esigenze del discepolato, o, se vogliamo, a enunciare la “dignità” del discepolo. Per tre volte Gesù afferma che “non è degno di lui” chi ama padre o madre, figlio o figlia, più di lui, chi non prende la propria croce per seguirlo, chi tiene per sé (lett. chi “trova”) la propria vita (Mt 10,37-39). Il triplice “non è degno di me” non va inteso come valutazione morale, né significa che Gesù richieda prestazioni che rendono meritevoli chi le compie. Si tratta di una semplice constatazione: vive la sequela di Gesù chi antepone l’amore di Cristo ai legami famigliari e si dispone a vivere questo amore fino alla croce, alla morte infamante. Questi è degno di Gesù, cioè, suo discepolo. …

Luciano Manicardi, monastero di Bose: La dignità del discepolo >>>


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html )

37Chi ama il padre o lamadre più di me, non è degno di me. Chi ama il figlio e lafiglia più di me, non è degno di me. 38Chi non prende la sua croce e non mi segue me, non è degno di me.

Chi è degno di Gesù, del Figlio? Ècolui che lo ama più del padre e della madre. Che cos’è la fede cristiana,anche quella ebraica? Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore con tutta la tua vita, con tutta la tua forza, con tutta la tua intelligenza.Ora il Signore è Gesù e il Signore va amato prima di tutto. Non si può amare come secondo Dio, se lo ami come secondo non è più Dio. Puoi non amarlo, odiarlo, ma non amarlo come secondo.

Continua a leggere

21 Giugno 2020 – XII Domenica T.O.

Omelia di don Mario Testa – XII Domenica del T. O.  – 21 giugno 2020 – S. Messa ore 09.00   >>>

Vangelo

Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.


Non temete, non abbiate paura, non abbiate timore. Per tre volte Gesù si oppone alla paura, in questo tempo di paura che mangia la vita, «che non passa per decreto-legge» (C.M. Martini), che come suo contrario non ha il coraggio ma la fede. Lo assicura il Maestro, una notte di tempesta: perché avete paura, non avete ancora fede? (Mc 4,40). Noi non siamo eroi, noi siamo credenti e ciò che opponiamo alla paura è la fede. E Gesù che oggi inanella per noi bellissime immagini di fede: neppure un passero cadrà a terra senza il volere del Padre. Ma allora i passeri cadono per volontà di Dio? È lui che spezza il volo delle creature, di mia madre o di mio figlio? Il Vangelo non dice questo, in verità è scritto altro: neppure un uccellino cadrà “senza il Padre”, al di fuori della sua presenza, e non come superficialmente abbiamo letto “senza che Dio lo voglia”. Nessuno muore fuori dalle mani di Dio, senza che il Padre non sia coinvolto. Al punto che nel fratello crocifisso è Cristo a essere ancora inchiodato alla stessa croce. Al punto che lo Spirito, alito divino, intreccia il suo respiro con il nostro; e quando un uomo non può respirare perché un altro uomo gli preme il ginocchio sul collo, è lo Spirito, il respiro di Dio, che non può respirare. Dio non spezza ali, le guarisce, le rafforza, le allunga. E noi vorremmo non cadere mai, e voli lunghissimi e sicuri. …

Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Nessuno ci ama capello per capello come Dio >>>  


All’interno del discorso missionario contenuto nel capitolo decimo del vangelo secondo Matteo, il brano evangelico odierno si situa immediatamente dopo le parole sapienziali di Gesù che proclamano che un discepolo non è da più del suo maestro, anzi, è già tanto se un discepolo diventa come il suo maestro (Mt 10,24-25).

In particolare, introduce la nostra pagina evangelica l’avvertimento forte di Gesù: “Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia”. Ovvero, se il maestro è stato calunniato e osteggiato così avverrà anche al discepolo. Questo si devono aspettare i discepoli: un trattamento non certo migliore di quello riservato al loro Maestro e Signore. Qui si inserisce il ripetuto avvertimento a non avere paura (vv. 26.28.31) e, piuttosto, a temere il Signore (v. 28b). Il discepolo è colui che è stato istruito dal suo maestro, che ha ricevuto, anche nel nascondimento e nel segreto, insegnamenti e istruzioni: ma ora, ciò che il discepolo ha ascoltato nel piccolo gruppo deve essere annunciato in pubblico, apertamente. Dunque la prima conseguenza che deriva dall’essere il discepolo all’altezza del suo maestro, è che annunci il vangelo con franchezza, senza vergognarsene, senza ritrosie e timidezze, senza paura di chi gli si oppone e lo contrasta con intimidazioni e minacce (vv. 26-27). …

Luciano Manicardi, monastero di Bose: Il coraggio della parola libera >>>


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html )

  • 39 – Mt 10,26-31 2

Domenica 14 Giugno 2020 – SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

Omelia di don Mario Testa – Solennità del Corpus Domini, Sabato 13 giugno 2020 >>>

Vangelo

La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Parola del Signore


Nella sinagoga di Cafarnao, il discorso più dirompente di Gesù: mangiate la mia carne e bevete il mio sangue. Un invito che sconcerta amici e avversari, che Gesù ostinatamente ribadisce per otto volte, incidendone la motivazione sempre più chiara: per vivere, semplicemente vivere, per vivere davvero. È l’incalzante convinzione di Gesù di possedere qualcosa che cambia la direzione della vita. Mentre la nostra esperienza attesta che la vita scivola inesorabile verso la morte, Gesù capovolge questo piano inclinato mostrando che la nostra vita scivola verso Dio. Anzi, che è la vita di Dio a scorrere, a entrare, a perdersi dentro la nostra. Qui è racchiusa la genialità del cristianesimo: Dio viene dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo, come corpo dentro l’abbraccio. Dentro l’amore. …

Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Con il suo «pane vivo» il Signore vive in noi >>>  


Questa festa celebra la memoria del corpo e del sangue del Signore, cioè del corpo donato, del corpo consegnato di Gesù per la vita degli uomini. Le parole di Gesù: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51) indicano anzitutto Gesù come colui che rivela il Padre e che dà la vita al mondo con la sua stessa vita, con l’interpretazione della vita umana che egli ha mostrato nella sua concreta esistenza. Il “mangiare me” (cf. Gv 6,57), il “mangiare la mia carne e bere il mio sangue” (cf. Gv 6,53.54.56) rinviano il discepolo all’operazione spirituale di assimilare nella propria vita la vita di Cristo. Di questa operazione fa parte la fede, il credere, fa parte l’ascolto della parola delle Scritture, fa parte la prassi, il fare concretamente la volontà del Padre. Non vi fa parte solo la manducazione eucaristica. La vita umana di Gesù (la sua carne e il suo sangue), come testimoniata nei vangeli, è il cibo di cui ogni credente è chiamato a nutrirsi affinché la vita di Gesù viva concretamente in lui. La chiesa è il luogo in cui la concreta umanità di ogni credente (la sua carne e il suo sangue) è chiamata a conformarsi all’umanità di Gesù, alla sua vita. Affinché sia vero che una sola vita, un’unica vita lega il Signore e il suo discepolo. Lì la chiesa si manifesta come luogo dell’alleanza tra il Signore e il credente. ….

Luciano Manicardi, monastero di Bose: Un cibo donato che si fa vita >>>


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html )

Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo

La carne e il sangue di Gesù, il suo corpo totalmente donato ai fratelli, rende visibile quel Dio che è tutto amore e dono di sé : in lui si celebra l’alleanza nuova e definitiva tra cielo e terra. La Parola ci presenta questo corpo. Mangiarlo significa conoscerlo per assimilarlo e diventare come lui, capaci di amare come siamo amati.

7 Giugno 2020 – Domenica della SS. Trinità

Omelia di don Bernard Tondé Domenica della SS Trinità, Messa del sabato 06 06 2020.mp3

Santa Trinità
Giovanni 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: 16Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.


…I  nomi di Dio sul monte sono uno più bello dell’altro: il misericordioso e pietoso, il lento all’ira, il ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza e di bontà.
Che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del Vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni: Dio ha tanto amato il mondo… e la notte di Nicodemo, e le nostre, s’illuminano…..

Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Trinità: Dio è legame, comunione abbraccio >>> 


L’intenzione della liturgia nella domenica successiva alla Pentecoste, che pone al suo cuore la Trinità, è quella di una celebrazione dossologica dell’azione del Dio trinitario che in realtà è sempre al cuore di ogni celebrazione per cui si pone il problema della specificità di questa festa. Tuttavia, al di là degli aspetti problematici che questa celebrazione pone, celebrazione accolta nel calendario romano da papa Giovanni XXII nella prima metà del XIV secolo anche se le prime tracce risalgono al IX-X secolo, noi possiamo cogliere un messaggio importante dalle letture bibliche che in essa ci sono presentate. Queste, infatti, e soprattutto la pagina evangelica, orientano verso la contemplazione del Dio estroverso, del Dio che si comunica all’uomo, del Dio il cui amore è per il mondo, insomma del Deus pro nobis. Del resto, come si è espresso un teologo, il dogma trinitario non è altro che “lo sforzo ostinato di andare sino in fondo all’affermazione giovannea per cui ‘Dio è amore’ (1Gv 4,8)” (Rémi Brague).

Luciano Manicardi, monastero di Bose: Amare donando >>>


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html )

Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito

Nicodemo, vecchio maestro della legge, è chiamato a rinascere dall’alto per diventare figlio: deve levare lo sguardo e vedere l’amore di un Dio che tanto lo ama da dare la sua vita per lui. Guardando il Figlio innalzato sulla croce, guarirà dal veleno del serpente antico. Chi vede il suo amore, abbandona la falsa immagine di Dio: sbugiardata la menzogna che lo fece fuggire da lui, comincia il ritorno a lui.