Archivio mensile:Luglio 2021

1 Agosto 2021, XVIII Domenica del T.O.

Vangelo

Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,24-35

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’opera del Signore è nutrire la vita >>>

…. Gesù ha appena compiuto il “segno” al quale tiene di più, il pane condiviso, ed è poi quello più frainteso, il meno capito. La gente infatti lo cerca, lo raggiunge e vorrebbe accaparrarselo come garanzia contro ogni fame futura. Ma il Vangelo di Gesù non fornisce pane, bensì lievito mite e possente al cuore della storia, per farla scorrere verso l’alto, verso la vita indistruttibile. Davanti a loro Gesù annuncia la sua pretesa, assoluta: come ho saziato per un giorno la vostra fame, così posso colmare le profondità della vostra vita! E loro non ce la fanno a seguirlo. Come loro anch’io, che sono creatura di terra, preferisco il pane, mi fa vivere, lo sento in bocca, lo gusto, lo inghiotto, è così concreto e immediato. Dio e l’eternità restano idee sfuggenti, vaghe, poco più che un fumo di parole. ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: L’opera della fede >>>

… Richiesti di operare per il cibo che non perisce, gli interlocutori di Gesù gli chiedono che cosa debbano fare per compiere “le opere di Dio” (cf. Gv 6,28). Appunto: che fare per operare per il cibo che rimane? Che fare per compiere ciò che piace a Dio? Rispondendo, Gesù non rinvia a “opere buone”, non chiede di compiere le opere del digiuno, dell’elemosina e della preghiera. La risposta di Gesù spiazza la domanda attuando il passaggio dalle molte opere all’unica opera, e addirittura identificando l’unica opera con la fede: l’opera è la fede! La diatriba tra fede e opere è superata da Giovanni con l’affermazione che la fede è l’opera essenziale e necessaria. L’opera che dà senso, orientamento e sacramentalità alle opere. L’opera di Dio, cioè che consente a Dio di operare nell’uomo, è la fede, “credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Ovvero, in quel Figlio dell’uomo su cui si è posato lo Spirito santo (Gv 1,33), che dice le parole di Dio e dona lo Spirito senza misura (Gv 3,34) e proprio così nutre la fame profonda dell’uomo. La risposta di Gesù spiazza anche le dicotomie e le sterili contrapposizioni che spesso affliggono i cristiani: tra fede e opere, tra dimensione verticale e dimensione orizzontale, tra contemplazione e azione, tra servizio e preghiera. In verità la fede è l’unica cosa necessaria. Il problema non si situa dunque sul piano del “che fare?”, ma del “chi sono?”: il cristiano è anzitutto un credente. Uno che fa della fede la propria responsabilità, il proprio lavoro, la propria fatica, la propria lotta. In una parola: la propria opera quotidiana. Credere è un lavoro. E la fede è lasciare che Dio operi nell’uomo. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Da dove compreremo pane?

Il pane, simbolo di vita, non è da comperare: è dono. Ciò che Gesù fa e dice illustra la sua esistenza di Figlio: “prende” il pane, “rende grazie” al Padre e “distribuisce” ai fratelli. Noi viviamo di questo pane: è l’eucaristia, il corpo del Figlio che ci assimila a lui e sazia il nostro desiderio di essere come Dio. Di questo pane ne avanza sempre un sovrappiù: è da raccogliere, a salvezza nostra e del mondo intero.

25 Luglio 2021, XVII Domenica del T.O.

Vangelo

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,1-15

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Quel pane moltiplicato che chiama alla fraternità >>>

…. Domenica del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste, che sembra non finire mai. E mentre lo distribuivano, non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano.
C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci… Un pane d’orzo, il primo cereale che matura; un ragazzo, in cui matura un uomo. Quella primizia d’umanità ha capito tutto, nessuno gli ha chiesto nulla e il ragazzo mette tutto a disposizione. È questa la prima scintilla della risposta alla fame della folla.
Ma che cosa sono cinque pani per 5.000: uno a mille. Il Vangelo sottolinea la sproporzione tra il poco di partenza e la fame innumerevole che assedia. Sproporzione però è anche il nome della speranza, che ha ragioni che la ragione non conosce. E il cristiano non può misurare le sue scelte solo sul ragionevole, sul possibile. Perché dovremmo credere a un Risorto, se siamo legati al possibile? La stessa sproporzione la sentiamo di fronte ai problemi immensi del nostro mondo. Io ho solo cinque pani, e i poveri sono legioni. Eppure Gesù non bada alla quantità, ne basta anche meno, molto meno, una briciola. E la follia della generosità. E infatti, non appena gli riferiscono la poesia e il coraggio di questo ragazzo, sente scattare dentro come una molla: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame! ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: La fame e il cibo >>>

… Giovanni riferisce lo sguardo di Gesù sulle folle che vengono a lui. Che cosa vede Gesù? Che cosa suscita in Gesù il vedere quelle folle numerose che lo cercano? Gesù si mostra preoccupato di dare loro da mangiare, di nutrirle. E pone una domanda a Filippo, una domanda che ha intento pedagogico, che vuole testare l’intelligenza di fede del discepolo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (Gv 6,5). L’iniziativa di sfamare le folle non viene dai discepoli (come nei Sinottici), ma direttamente da Gesù. Non è motivata neppure dalla compassione nei confronti di folle stanche o smarrite o bisognose (come in Mc 6,34; 8,2; Mt 15,32). Il gesto di Gesù è sovranamente gratuito: è un’azione, non una reazione. Nasce solo dal suo sguardo sulla folla in quel tempo prossimo alla Pasqua (cf. Gv 6,4).

E così il gesto appare rivelativo: sia in rapporto al Dio che nella Pasqua compirà il suo amore sovrabbondante per l’uomo donando il suo stesso Figlio per la vita del mondo, sia in rapporto all’uomo e alla sua fame non dovuta a particolari circostanze, ma fondamentale, costitutiva. Questa fame non è una disgrazia, ma la verità umana ordinata alla verità di Dio che la precede e la fonda e che è il desiderio di Dio di consegnarsi all’uomo per aver comunione con lui e perché l’uomo abbia la vita in abbondanza. Potremmo dire che Gesù vede nelle folle una fame che lui solo può saziare. E questa è la fame che lui stesso desta e che porta tanti uomini e tante donne a seguirlo, a desiderare la sua parola, a nutrirsi dei suoi insegnamenti.

Egli è colui che desta la fame e che la sazia: è la fame e il cibo: “Chi viene a me non avrà più fame” (Gv 6,35). Gesù, che a Cana aveva donato il vino migliore (Gv 2,1-12), che alla Samaritana aveva annunciato il dono dell’acqua che estingue la sete in eterno (Gv 4,14), ora dona il pane in abbondanza (Gv 6,12-13). Lui stesso è questo pane, rivelerà Gesù nel discorso nella sinagoga di Cafarnao: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,34). E come il vino di Cana (Gv 2,9) e l’acqua della Samaritana (Gv 4,11) sono accompagnati dalla domanda sulla loro origine con l’avverbio pòthen, “da dove?”, così ora Gesù stesso chiede a Filippo “da dove (pòthen) potremo comprare il pane …?” (Gv 6,5). E in Giovanni questo avverbio non indica tanto un luogo quanto la sorgente di ogni dono, l’origine di ogni dono: Dio, il Padre: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre” (Gc 1,17).  …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Da dove compreremo pane?

Il pane, simbolo di vita, non è da comperare: è dono. Ciò che Gesù fa e dice illustra la sua esistenza di Figlio: “prende” il pane, “rende grazie” al Padre e “distribuisce” ai fratelli. Noi viviamo di questo pane: è l’eucaristia, il corpo del Figlio che ci assimila a lui e sazia il nostro desiderio di essere come Dio. Di questo pane ne avanza sempre un sovrappiù: è da raccogliere, a salvezza nostra e del mondo intero.

18 Luglio 2021, XVI Domenica del T.O.

Vangelo

Erano come pecore che non hanno pastore.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Finché c’è compassione il mondo può sperare >>>

…. Viviamo oggi in una cultura in cui il reddito che deve crescere e la produttività che deve sempre aumentare ci hanno convinti che sono gli impegni a dare valore alla vita. Gesù ci insegna che la vita vale indipendentemente dai nostri impegni (G. Piccolo).
La gente ha capito, e il flusso inarrestabile delle persone li raggiunge anche in quel luogo appartato. E Gesù anziché dare la priorità al suo programma, la dà alle persone. Il motivo è detto in due parole: prova compassione. Termine di una carica bellissima, infinita, termine che richiama le viscere, e indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro. La prima reazione di Gesù: prova dolore per il dolore del mondo. E si mise a insegnare molte cose. Forse, diremmo noi, c’erano problemi più urgenti per la folla: guarire, sfamare, liberare; bisogni più immediati che non mettersi a insegnare. Forse abbiamo dimenticato che c’è una vita profonda in noi che continuiamo a mortificare, ad affamare, a disidratare. ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Un riposo compassionevole >>>

Marco ci mostra che i discepoli sono accolti e ascoltati da colui che li ha inviati e che si mostra interessato non semplicemente al compimento della missione, ma anzitutto alla loro persona. Gesù, buon pastore che conosce per nome le sue pecore, si mostra più attento ai missionari, infatti, che alla missione e al suo eventuale successo. Nessun funzionalismo in Gesù. E mentre ascolta i racconti degli apostoli, egli sente anche la loro fatica e il loro bisogno di riposo. E li invita ad andare con lui in disparte per riposarsi un po’: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’” (Mc 6,31).

Anche qui, Gesù invita i discepoli a fare ciò che lui stesso vive e di cui fa esperienza. Se Gesù parla alle folle e trascorre molte giornate in predicazione, se incontra persone donando loro tempo, ascolto e presenza, se cura molti malati spendendo energie e forze psicofisiche, egli ha pure bisogno di ritiro, di solitudine, di riposo, di starsene in luoghi solitari e deserti (Mc 1,35.45; 6,46;9,2). Ha bisogno di tempi di gratuità, non solo impegnati nello spendersi per gli altri. Alla faticosa missione deve accompagnarsi il necessario riposo. Del resto, il testo evangelico annota che il piccolo gruppo dei discepoli di Gesù era oberato da ritmi troppo intensi. È impressionante notare come – stando almeno a questo testo di Marco (che manca infatti negli altri sinottici) – già i discepoli di Gesù pativano una sorta di tirannia delle attività e del non avere tempo: “Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). Gesù, buon pastore, dà ai suoi inviati il diritto e il permesso di riposarsi e dunque consegna loro la responsabilità di darsi tempo, di fermarsi, di abitare il silenzio e la solitudine, di sostare per “essere” e di non alienarsi nel “fare” negligendo i bisogni elementari e basilari della loro vita. Il riposo è tempo di pausa che dona nuova lucidità, che rinnova le motivazioni del vivere e della vocazione. Potremmo dire che è parte esso stesso dell’azione pastorale, così come il riposo e la cessazione dell’attività sono parte costitutiva dell’azione creazionale di Dio (Gen 1,1-2,4a). Si potrebbe aprire qui una riflessione critica sulla evangelicità della forma di certa attività pastorale oggi alienata nel momento attivo-organizzativo. …


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Venite soli in disparte

Alzati gli occhi al cielo, benedisse e spezzò il pane, e li dava

Dopo la missione i Dodici ritornano da Gesù e confrontano con lui quanto hanno fatto e insegnato. Èciò che facciamo nella comunità: uniti tra noi e con lui, ciconfrontiamo con la sua Parola, centro della nostra vita. Così sentiamo il suo invito all’esodo nel deserto, da soli con lui, dove ci darà il suo Pane

11 Luglio 2021, XV Domenica del T.O.

Vangelo

Prese a mandarli.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Vita senza demoni e un mondo guarito >>>

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. Il nostro Dio ama gli orizzonti e le brecce. A due a due: perché il due non è semplicemente la somma di uno più uno, è l’inizio del noi, la prima cellula della comunità. Ordinò loro di non prendere nient’altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere la stanchezza e un amico su cui appoggiare il cuore….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Con i modi del Signore  >>>

… La missione non è frutto dell’iniziativa personale, non è espressione del protagonismo del credente che si inventa avventuriero della fede o che intende “salvare il mondo” con le sue buone ed eroiche intenzioni e disposizioni. Il missionario è un chiamato: quindi dev’essere anzitutto una persona obbediente alla parola del Signore, disposto a rinnovare la propria chiamata giorno per giorno con l’ascolto quotidiano della parola di Dio. La missione dice dunque riferimento fondante a Colui che invia, prima ancora che rapporto con i destinatari dell’annuncio. Solo così la missione potrà essere sacramento della presenza e della venuta del Signore. Altrimenti sarà una mera manifestazione del protagonismo umano che, anche quando si esprime con maniere spirituali o pastorali, è in realtà profondamente mondano. …


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Chiamò innanzi i Dodici e cominciò a inviarli”.

Quando uno accoglie Gesù, il Figlio, fa come lui: testimonia ai fratelli l’amore del Padre. La Parola, che ci fa figli di Dio, è un seme da seminare nel mondo intero: chi l’ha ascoltata, la comunica agli altri. Uno diventa figlio solo quando si sente responsabile dei fratelli.

4 Luglio 2021, XIV Domenica del T.O.

Vangelo

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Così Gesù rifiutato continua ad amarci >>>

«Ma non è il falegname, il fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone?» Poche pagine prima questi stessi fratelli sono scesi a Cafarnao per riportarselo a casa, il loro cugino strano, perché dicevano: è andato, è fuori di testa; lo danno per eretico, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.
E adesso a Nazaret, dove si conoscono tutti, dove si sa tutto di tutti (o almeno così si crede), la gente si stupisce di discorsi mai sentiti, di parole che sembrano venire non dalla sacra scrittura, come l’hanno sempre ascoltata in sinagoga, e forse neppure da Dio: da dove mai gli vengono queste cose?
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? L’umanità, la familiarità di un Dio che abbandona il tempio ed entra nell’ordinarietà di ogni casa, diventando il “God domestic” (Giuliana di Norwich, sec. XIII), il Dio di casa. Gesù, rabbi senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione. Scandalizza l’umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov’è la gloria e lo splendore dell’Altissimo?


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Che Gesù conosco?  >>>

… L’antefatto da cui parte tutta l’azione è che Gesù, in giorno di sabato, si mette a insegnare in sinagoga (Mc 6,2). Marco ha già annotato che di sabato Gesù insegna in sinagoga e libera un uomo da uno spirito impuro che lo tormentava (Mc 1,21-28) e sempre di sabato, in sinagoga, compie un gesto di potenza, la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6). E sempre Marco registra le reazioni di stupore meravigliato (Mc 1,27) o di aperta opposizione (Mc 3,6) suscitate da Gesù. Come spesso nel primo vangelo, Marco non specifica il contenuto dell’insegnamento di Gesù ma, in estrema sintesi Gesù, quando insegna, sempre annuncia il Regno di Dio e l’esigenza della conversione (cf. Mc 1,15). E che questo insegnamento sia percepito come particolarmente forte e autorevole da parte dei presenti è espresso dalla loro reazione di stupore: restano colpiti, quelle parole non li lasciano indifferenti e li porterebbero a prendere una posizione a schierarsi. Ma l’esito di quello stupore sembra piuttosto quello di un difendersi dal prendere posizione, dal lasciarsi interpellare e affascinare dal nuovo e dal potente che sentono in Gesù. Pongono domande, ma non sempre le domande sono apertura al nuovo, sono segno di ricerca e di interesse, di quella curiosità che è passione per l’umano. Qui le domande sono una misura di difesa, una protezione. Agiscono come uno scudo. I concittadini di Gesù si ritirano nel loro guscio, si proteggono ritraendosi nel loro carapace. La forza e la sapienza che sentono in Gesù, che è uno di loro, che è nato in mezzo a loro, mette in discussione anche loro. ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Si meravigliava della loro non fede

Si meravigliava della loro non fede”.Il Signore si meraviglia di nulla, se non della nostra fede o non fede: è una libera decisione dell’uomo, che può accettare o rifiutare Dio e il suo amore. Dove è accolto, è sorpreso per la gioia e vive; dove è respinto è sorpreso dal dolore e muore lasciando aperto a tutti il suo cuore.